Cornuta di Caltanissetta

Benvenuti nella pagina dedicata alla Cornuta di Caltanissetta. Scoprite le caratteristiche uniche e distintive di questa affascinante razza di gallina ornamentale. Questa pagina รจ stata creata per fornire una descrizione dettagliata e scientifica, ideale per allevatori e appassionati.

La Cornuta di Caltanissetta è una razza rustica e nel suo standard viene così descritta: “razza campagnola e ha un aspetto molto selvatico e spesso la postura è alta specie se è in allerta. Il gallo e la gallina per la presenza del dimorfismo sessuale sono diversi, il gallo è rosso nero e la gallina è simile alla pernice. La colorazione nelle nomenclature corrisponde alla selvatica, molte hanno la testa di moro, cioè nera. Il peso non supera i 2 kg per la gallina e 2,5 per il gallo. La forma preferita è quella ‘a corna di bue’. L’orecchione è rosso con tollerato il bianco. I tarsi sono verde salice e la pelle è morata e non gialla”. Il nome Cornuta è dovuto alla forma della cresta “a corna di bue”. Per la forma della cresta – è la caratteristica peculiare – ha avuto notevole risonanza nel mondo dell’allevamento amatoriale. 

Noi di Piumerare abbiamo oltre la colorazione standard selvatica, la favolosa colorazione bianca, frutto di anni di selezione.

 

 

 

La leggenda

La Gallina dell’Arcangelo

In Sicilia, dove ogni verità si traveste di leggenda, vive ancora una gallina che non appartiene interamente alla terra.
La chiamano Cornuta di Caltanissetta — e già il nome sembra un ossimoro, una burla divina: un animale domestico che porta le corna. Ma in Sicilia nulla è mai solo ciò che appare.

Si racconta che soltanto uomini di condotta irreprensibile possano allevarla. Nessuno ha mai stabilito chi giudichi tale purezza: Dio, forse, o la gallina stessa.
Gli allevatori ne parlano con pudore, come si fa dei segreti di famiglia. “Non è un animale,” dicono, “è una reliquia viva.”

È una razza antica, campagnola, con una postura fiera e occhi che sanno di libertà.
Il gallo indossa una livrea rosso-nera, come un cardinale penitente; la femmina, più modesta, ricorda la pernice. Alcuni esemplari sono detti “testa di moro”, scuri come la notte sopra l’Etna.
Ma ciò che la distingue davvero è la cresta: biforcuta, come due piccole corna di bue — una memoria terrestre di una battaglia celeste.

Oggi se ne contano appena quattrocento esemplari nel cuore della Sicilia, allevati da mani che conoscono la pazienza e la superstizione.
Ogni primavera, per la festa di San Michele, i contadini benedicono la Cornuta “casa per casa”: rito antico, nato per proteggere la purezza del sangue e tenere lontane le ibridazioni, ma anche le sventure.
La tradizione vieta di venderla: può essere soltanto donata a chi mostra “buon’animo e retta fama”.
Chi la vende o ne trae profitto — dicono — porta su di sé la maledizione del corno e della penna, e perde il sonno per sempre.

Le sue origini si perdono nei secoli.
Qualcuno la dice discendente delle galline portate dai Greci; altri,² parente della francese La Flèche, che le somiglia per eleganza e mistero.
Gli studiosi hanno perfino proposto il suo riconoscimento ufficiale dal Ministero dell’Agricoltura, ma il popolo preferisce pensare che sia già riconosciuta altrove — in cielo, magari.

Tutto comincia, come sempre, con un mito.
Dopo la grande ribellione, Lucifero cadde dal Paradiso e trovò rifugio nell’Etna, avvolgendosi come un serpente nel ventre del vulcano. Ma la montagna non riuscì a contenerlo, e la sua testa sporgeva ancora dal cratere.
San Michele lo raggiunse e con un colpo di spada fiammeggiante gli recise un corno.
Quel corno, dice la leggenda, volò fino a Mazara del Vallo, dove si pietrificò in una grotta che nessuno osa profanare.

Lucifero, furibondo, ferì l’ala del suo avversario e ne strappò una penna.
Quella penna, bianca e celestiale, cadde su Caltanissetta, dove gli abitanti la raccolsero e la rinchiusero in un tabernacolo d’oro.
Ma la grazia, quando si tenta di possederla, si trasforma in colpa: la penna divenne motivo di contesa, e la città conobbe discordia e avidità.
Un giorno, la reliquia sparì. O,forse tornò al luogo dove tutte le cose reali si dissolvono: la memoria di Dio.

San Michele, mosso a pietà, decise allora di creare un essere intermedio: né demone né angelo, ma un simbolo vivente del peccato redento un promemoria per le genti.
Dalla polvere del corno e dalla piuma caduta nacque la Cornuta di Caltanissetta: una gallina che porta sulla fronte il segno del male, ma nel petto la luce del cielo.

Da allora, si crede che allevare una Cornuta non sia un mestiere, ma un compito sacro.
Gli allevatori dicono che, al tramonto, le galline si fermano e fissano l’orizzonte come se vedessero qualcosa che l’uomo ha dimenticato.
C’è chi giura di aver udito il loro canto mutare nelle notti di temporale, quando il vento soffia : un suono che non è né chioccia né preghiera, ma qualcosa di più antico, come un nome dimenticato del mondo.

Forse è per questo che, ancora oggi, nessuno osa portarle lontano dalle campagne nissene.
Non per paura della maledizione, ma per un pudore più profondo — quello che si prova davanti a ciò che è miracolo e superstizione insieme.

E chi scrive queste righe, pur sapendo che la ragione ride di tali storie, ha deciso di non chiedere compenso, "cu si vaddau si savvau".

Perché in Sicilia anche le galline, a volte, hanno un’anima.
E certe anime, si sa, amano vendicarsi di chi non ci crede.

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